turna aa lista d'i argumenti

La coniugazione
dei verbi in vocale / semivocale

in effettiva aderenza alla pronuncia della lingua urbana della cittą di Genova.

  • I verbi in vocale della prima coniugazione
  • Gli informatori
  • L'origine degli incontri vocalici
  • Gli studiosi: il Parodi e il Gazzo
  • Le infedeltį della grammatica del prof. Toso
  • Il gravissimo momento storico per la lingua genovese
  • Verbi in "i"

    Prendiamo subito in considerazione la coniugazione dei verbi in "i".
    Assumiamo quale esempio il verbo "tiā" /'tja:/ (tirare):

    presente indicativo:

    mi
    ti

    niātri
    viātri

    tīu
    ti tīi
    u\a tīa
    tiźmu
    tię
    tīan
    /'ti:u/
    /'ti:i/
    /'ti:a/
    /'tje:mu/
    /'tjE:/
    /'ti:aN/
    imperfetto indicativo:

    mi
    ti

    niātri
    viātri

    tiāva
    ti tiāvi
    u\a tiāva
    tiāvimu
    tiāvi
    tiāvan
    /'tja:va/
    /'tja:vi/
    /'tja:va/
    /'tja:vimu/
    /'tja:vi:/
    /'tja:vaN/
    Nota: i soggetti non in grassetto possono essere omessi
    a prunśnsia d'u Giōxe Marzari
    furmatu MP3

    Come si puņ ben vedere, alla II e III persona plurale del presente e all'imperfetto, nonché all'infinito

    quando l'accento cade sulle desinenze verbali
    la
    vocale tematica del verbo si trasforma in semivocale (i j),
    e si fonde in un'unica sillaba con la vocale successiva
    formando cosķ un
    dittongo ascendente (i:a ja:)

    Per dittongo si intende una sillaba composta da una vocale e da una semivocale: un dittongo č detto ascendente se la semivocale precede la vocale mentre č detto discendente se la vocale č seguita dalla semivocale

    Nel genovese urbano la prima persona dell'indicativo presente si pronuncia dunque /'ti:u/, con /i/ vocalica, tonica e di quantitą, (cioč durata), lunga: essa risulta, quindi, forma verbale dotata di due sillabe; invece all'infinito, ad esempio, si pronuncia, /'tja:/, monosillabo, in cui l' "i" assume il valore della semivocale /j/, come nella parola "tiįn" /'tjan/ = teglia ( letteralmente, tegame).

    Questo fenomeno di formazione dei dittonghi ascendenti si manifesta con modalitą totalizzanti nel tempo imperfetto del modo indicativo, perché, in questo caso, l'accento cade sempre sulle desinenze delle forme verbali e, quindi, la vocale tematica del verbo viene sempre pronunciata quale semivocale.

    Lo stesso vale per le "i" dei futuri: esse vengono sempre ed esclusivamente pronunciate quali semivocali e, in cittą, non esiste nessun'altra pronuncia alternativa.

    Analogamente, si comportano tutti gli altri verbi in vocale "i", quali, ad esempio,
    "criā" /'krja:/ = gridare, "gjā" /'dZja:/ = girare, "amiā" /a'mja:/ = guardare, "fiā" /'fja:/ = filare et c...

    Occorre notare che il dittongo ascendente che viene a formarsi alla I plurale dell'ind. presente, "tiźmu" /'tje:mu/ comporta l'allungamento della vocale /e/ della desinenza e la pronuncia scempia della consonante desinenziale seguente (in questo caso "m").

    In questa tipologia di verbi, cioč, si hanno forme quali "tiźmu" /'tje:mu/ (con consonante "m" di intensitą semplice) a differenza di quanto avviene nel caso di verbi completamente regolari quali "lavā" /la'va:/ et c..., che alla prima persona plurale hanno la pronuncia della desinenza verbale regolarmente doppia: "lavemmu" /la'vemmu/ et c...

    Risulta, inoltre, degno di menzione il fatto che, a differenza dell'italiano standard, la pronuncia della prima persona plurale comporta la ritrazione dell'accento, "tiāvimu" /'tja:vimu/, rispetto all'italiano "tiravamo".

    La stessa ritrazione, ovviamente, avviene anche in verbi completamente regolari come "lavā" e si ha "lavāvimu" /la'va:vimu/ a differenza dell'italiano "lavavamo".

    Va, ancora, notato che le II persone (singolare e plurale) risultano identiche e sono distinguibili fra loro tramite l'uso obbligatorio del pronome "ti" alla seconda persona singolare.

    Č un tratto contrastivo del genovese rispetto all'italiano standard, che distingue "mangiavi" da "mangiavate", ma che si ritrova, ad esempio, a livello di fiorentino popolare.

    In realtą, anche al presente del condizionale le II persone (singolare e plurale) risultano identiche, ma ciņ verrą esaminato in una trattazione successiva.


    Verbi in "e"

    Le stesse alternanze finora esaminate si verificano a proposito dei verbi in vocale "e", solo che la semivocale corrispondente alla vocale "e" č ancora la stessa "j".

    Si ha, cioč, relativamente al verbo "ziā" /'zja:/ (gelare):

    presente indicativo:

    mi
    ti

    niātri
    viātri

    zźu
    ti zźi
    u\a zźa
    ziźmu
    zię
    zźan
    /'ze:u/
    /'ze:i/
    /'ze:a/
    /'zje:mu/
    /'zjE:/
    /'ze:aN/
    imperfetto indicativo:

    mi
    ti

    niātri
    viātri

    ziāva
    ti ziāvi
    u\a ziāva
    ziāvimu
    ziāvi
    ziāvan
    /'zja:va/
    /'zja:vi/
    /'zja:va/
    /'zja:vimu/
    /'zja:vi:/
    /'zja:vaN/

    e, ovviamente, all'infinito, "ziā" /'zja:/ = gelare.

    Anche in questo caso, ci si muove all'interno dell'ambito della totale e perfetta regolaritą dell'evoluzione della lingua genovese urbana.

    Infatti, /'zje:mu/, /'zjE:/ e /'zja:/ derivano, rispettivamente, da /ze'Remmu/, /ze'RE:/, /ze'Ra:/ (che, piś anticamente ancora, furono pronunciate /dze'Remmu/, /dze'RE:/, /dze'Ra:/, pronunce che in zone di lingua arcaica sono ancor oggi praticate).
    Alla caduta dell'erre intervocalica, queste forme fornirono "ziźmu" /'zje:mu/, "zię" /'zjE:/ e "ziā" /'zja:/, proprio come i futuri /lave'Remmu/, /lave'RE:/, /lave'Ra/ produssero le forme attuali "laviźmu" /la'vje:mu/, "lavię" /la'vjE:/, "u\a laviā" /la'vja:/ nell'ambito dello stesso identico fenomeno che prevede /j/ quale semivocale della vocale /e/.


    Verbo "piā"

    Esistono, altresķ, verbi quali "mi péju" /'mi 'pejju/ = io pelo, che condividono l'adozione del suono semivocalico di /j/ nelle forme della I e della II persona plurale e ovviamente, all'infinito "piā" /'pja:/ = pelare.

    Nelle altre persone, perņ, dal momento che il verbo deriva da un'antica "ĭ" (/i/ breve latina ) e non da /e/, si ha il dittongo (in questo caso, discendente) /ej/, come si ha nel sostantivo "pei" /'pej/, che, in genovese, significa "pelo", ma, anche, al singolare, "pera".

    La coniugazione del verbo "piā" /'pja:/ (pelare) risulta pertanto essere:

    presente indicativo:

    mi
    ti

    niātri
    viātri

    peju
    ti peji - pei
    u\a peja
    piźmu
    pię
    péjan
    /'pejju/
    /'pejji/ - /'pej/
    /'pejja/
    /'pje:mu/
    /'pjE:/
    /'pejjaN/
    imperfetto indicativo:

    mi
    ti

    niātri
    viātri

    piāva
    ti piāvi
    u\a piāva
    piāvimu
    piāvi
    piāvan
    /'pja:va/
    /'pja:vi/
    /'pja:va/
    /'pja:vimu/
    /'pja:vi:/
    /'pja:vaN/
    a prunśnsia d'u Giōxe Marzari
    furmatu MP3

    Normalmente, si preferisce usare "ti pei" /ti 'pej/ alla seconda persona singolare, perché si tende ad evitare il dittongo ascendente omofono (cioč, dotato di semivocale e vocale dello stesso suono) /ji/ nelle poche occorrenze in cui potrebbe ricorrere.
    Analogamente, il diminutivo dell'antico nome "Maja" /'majja/ = "Maria" (ormai, obsoleto) č piś comunemente pronunciato "Main" /ma'iN/ anziché "Maiķn" /ma'jiN/.


    Verbi in "o" ed "u"

    Analoghe considerazioni possono essere riferite in merito ai verbi in "o" ed "u".

    Si possono assumere quali esempi i verbi riflessivi "mi me resciōu" /'mi me re'SO:u/ = "prendo sollievo (morale), letteralmente, refrigerio, e "mi me demūu" /'mi me de'mu:u/ = "mi diverto".

    In questi due casi, sia /O/ sia /u/ forniscono, quale unica semivocale, /w/,
    come nella parola "buin" /'bwiN/ = buoni.

    Le rispettive coniugazioni risultano essere:

    presente indicativo:

    mi
    ti

    niātri
    viātri

    me resciōu
    ti te resciōi
    u\a se resciōa
    se resciuźmu
    ve resciuę
    se resciōan
    /'me re'SO:u/
    /'te re'SO:i/
    /'se re'SO:a/
    /'se re'Swe:mu/
    /'ve re'SwE:/
    /'se re'SO:aN/
    imperfetto indicativo:

    mi
    ti

    niātri
    viātri

    me resciuāva
    ti te resciuāvi
    u\a se resciuāva
    se resciuāvimu
    ve resciuāvi
    se resciuāvan
    /'me re'Swa:va/
    /'te re'Swa:vi/
    /'se re'Swa:va/
    /'se re'Swa:vimu/
    /'ve re'Swa:vi:/
    /'se re'Swa:vaN/

    mi
    ti

    niātri
    viātri

    me demūu
    ti te demūi
    u\a se demūa
    se demuźmu
    ve demuę
    se demūan
    /'me de'mu:u/
    /'te de'mu:i/
    /'se de'mu:a/
    /'se de'mwe:mu/
    /'ve de'mwE:/
    /'se de'mu:aN/

    mi
    ti

    niātri
    viātri

    me demuāva
    ti te demuāvi
    u\a se demuāva
    se demuāvimu
    ve demuāvi
    se demuāvan
    /'me de'mwa:va/
    /'te de'mwa:vi/
    /'se de'mwa:va/
    /'se de'mwa:vimu/
    /'ve de'mwa:vi:/
    /'se de'mwa:vaN/

    Verbi in "œ" ed "y"

    Esistono, inoltre, i verbi in "œ" e "y", quali "mi nœu" /'nœ:u/ = io nuoto, "mi vœu" /'vœ:u/ = io vuoto, "mi dŷu" /'dy:u/ = io duro, "mi zŷu" /'zy:u/ = io giuro, "mi spŷu" /'spy:u/ = io sputo, "mi sŷu" /'sy:u/ = io sudo, "mi stranŷu" /stra'ny:u/ = io starnuto, "mi refŷu" /re'fy:u/ (da cui l'aggettivo "refiūzu" /re'fju:zu/ = "scostante", che nessuno oserebbe pronunciare se non con la semivocale /j/) etc...

    /œ/ č la vocale della parola "nœva" /'nœ:va/ = nuova ed /y/ č la vocale della parola "ryzze" /'ryzze/ = ruggine.

    la semivocale corrispondente tanto alla vocale /œ/ che alla /y/ č ancora una volta la /j/, certamente derivata dalla semivocale /H/

    Nell'ottica di non scontentare nessuno, si riportano anche le varianti dotate della semivocale /H/ anziché /j/, anche se si tratta, indubbiamente, per quanto attiene alla lingua del Centro urbano, di ricostruzioni (vedi sotto), ovvero di un tentativo di riavvicinamento allo standard dell'italiano di uno stadio linguistico che era naturalmente pervenuto alla pronuncia di /j/ e non avvertiva la necessitą di rendersi conforme a una pronuncia meno lontana dall'italiano standard.

    Molto presumibilmente, per altro, a causa del normale processo storico di ritardo nell'accettazione delle innovazioni linguistiche irradiantisi dal Centro urbano (Genova), non tutte le aree periferiche erano pervenute agli stessi esiti della pronuncia della lingua urbana della cittą di Genova né vi sono pervenute tuttora.

    Si identifica il verbo "mi vœu" /'vœ:u/ = io vuoto relativamente alla vocale /œ/ e "mi sŷu" /'sy:u/ = io sudo relativamente alla vocale /y/.

    Nota bene: nell'alfabeto fonetico SAMPA il fonema /y/ semivocalico viene indicato per mezzo di una acca maiuscola /H/
    presente indicativo:

    mi
    ti

    niātri
    viātri

    vœu
    ti vœi
    u\a vœa
    viźmu
    vię
    vœan
    /'vœ:u/
    /'vœ:i/
    /'vœ:a/
    /'vje:mu/
    /'vjE:/
    /'vœ:aN/



    vyźmu
    vyę




    /'vHe:mu/
    /'vHE:/

    imperfetto indicativo:

    mi
    ti

    niātri
    viātri

    viāva
    ti viāvi
    u\a viāva
    viāvimu
    viāvi
    viāvan
    /'vja:va/
    /'vja:vi/
    /'vja:va/
    /'vja:vimu/
    /'vja:vi:/
    /'vja:vaN/
    vyāva
    ti vyāvi
    u\a vyāva
    vyāvimu
    vyāvi
    vyāvan
    /'vHa:va/
    /'vHa:vi/
    /'vHa:va/
    /'vHa:vimu/
    /'vHa:vi:/
    /'vHa:vaN/

    mi
    ti

    niātri
    viātri

    sŷu
    ti sŷi
    u\a sŷa
    siźmu
    się
    sŷan
    /'sy:u/
    /'sy:i/
    /'sy:a/
    /'sje:mu/
    /'sjE:/
    /'sy:aN/



    syźmu
    syę




    /'sHe:mu/
    /'sHE:/

    mi
    ti

    niātri
    viātri

    siāva
    ti siāvi
    u\a siāva
    siāvimu
    siāvi
    siāvan
    /'sja:va/
    /'sja:vi/
    /'sja:va/
    /'sja:vimu/
    /'sja:vi:/
    /'sja:vaN/
    syāva
    ti syāvi
    u\a syāva
    syāvimu
    syāvi
    syāvan
    /'sHa:va/
    /'sHa:vi/
    /'sHa:Va/
    /'sHa:vimu/
    /'sHa:vi:/
    /'sHa:vaN/

    e, all'infinito, rispettivamente, "viā" /'vja:/ ("vyā" /'vya:/) = "vuotare" e "siā" /'sja:/ ("syā" /'sHa:/) = "sudare".

    Si noti che, negli stili di pronuncia piś genuini e meno ricostruiti, l'infinito di "gelare" risulta omofono con l'infinito di "giurare", entrambi "ziā" /'zja:/ , ma ciņ č sempre stato tranquillamente accettato e il contesto non crea incomprensioni.

    Anziché preoccuparsi per la quantitą davvero esigua dei veri omofoni (= parole di diverso significato ed uguale pronuncia) della lingua genovese, occorrerebbe riflettere sulla grande quantitą di omofoni di lingue di cultura quale, ad esempio, la lingua francese.

    Eppure, i francesi hanno, da sempre, considerato la loro lingua come la lingua della chiarezza per eccellenza!


    Gli informatori

    Nel caso dei verbi presi in considerazione e, in particolare, relativamente a quelli in "œ" e in "y", si riferiscono e testimoniano le pronunce urbane ascoltate e verificate, mediante domande puntuali e specifiche richieste di poter riascoltare la pronuncia udita, nel Centro di Genova fino a tutti gli anni '70 del secolo ormai scorso (1970).

    Gli informatori interrogati appartenevano a classi sociali che possono, per esigenze di sintesi descrittiva, essere identificate mediante l'aggettivo borghesi, inteso in un'accezione relativamente ampia: si trattava infatti, di medici, avvocati, liberi professionisti, impiegati e negozianti, nati e residenti da sempre nel Centro della cittą.

    La pronuncia che si intende riportare prevedeva come semivocale, sia della vocale /œ/ sia della vocale /y/, la /j/ , che, in questo utilizzo specifico, sarą certamente derivata dalla /y/ semivocalica (la /H/ dell'alfabeto fonetico SAMPA, come nelle parole francesi "suite" /'sHit@/, "juin" /ZHe~/ etc...) che non veniva, perņ, adottata dai parlanti consultati.

    Anzi, si rende necessario testimoniare che la pronuncia di chi ripristinava la /y/ semivocalica in luogo della semivocale /j/ veniva avvertita come "ricostruita" ed "affettata".

    Si ribadisce ulteriormente che, come sopra riferito, l'ambito di pronuncia della /j/ come semivocale di /œ/ ed /y/ era di tipo borghese e che non risultņ, invece, possibile effettuare inchieste attendibili in ambito popolare, anche perché le vere varianti popolari urbane, (a causa di motivi storici ed ambientali che verranno affrontati in altra occasione), non erano riuscite a sopravvivere effettivamente alla seconda guerra mondiale.

    Si esagera se si considera che esistano ancora un paio di Genovesi in grado di rammentare alcune delle minute particolaritą linguistiche tipiche del "fuxan" /fu'ZaN/ o del "purtulian" /purtu'ljaN/.

    Il "fuxan" era parlato nell'antico sobborgo della Foce, distrutto completamente prima della seconda guerra mondiale per esigenze di edilizia innovativa, ed era relativamente noto, perché le "fuxann-e" /fu'ZaNe/, le donne dei pescatori del borgo, portavano a vendere, a piedi e, quindi, in un ambito comunque ristretto, il pescato.

    Il "purtulian" (sķ, sķ, si pronunciava con l'elle come nella parola "lann-a" /'laNa/ = lana) era, in senso stretto, la lingua parlata nel sestiere di Portoria, ma aveva anche assunto l'accezione un pochino piś ampia di "lingua popolare, plebea" in contrapposizione a registri linguistici piś "borghesi".

    Anche per Portoria, a causa della guerra, furono gravissime le devastazioni operate dai bombardamenti della Royal Air Force, ma la distruzione definitiva permane comunque opera dei Genovesi, che, forse, anche allora, privilegiavano altri obiettivi rispetto a quelli puramente identitari. (In Europa, chi ha girato anche poco sa bene che č stato ricostruito ben altro o, almeno, quanto era reputato piś significativo sotto l'aspetto dell'identitą cittadina).

     

    L'origine degli incontri vocalici

    L'origine di tutti gli incontri vocalici che costituiscono l'oggetto della presente trattazione č duplice:

    • una storicamente antica dovuta alla caduta del fonema dentale intervocalico (t - d originari), quale si č verificata in "mi crīu" /'kri:u/ = io grido, "mi nœu" /'nœ:u/ = io nuoto, "mi vœu" /'vœ:u/ = io vuoto, "mi spŷu" /'spy:u = io sputo, "mi sŷu" /'sy:u/ = io sudo "mi refŷu" /re'fy:u/ = io rifiuto e "mi stranŷu" /stra'ny:u/ = io starnuto.
    • una storicamente piś recente causata dall'eliminazione urbana dell'erre intervocalica, quale si č verificata a partire dalle forme verbali /'ti'Ra:/, /dZi'Ra:/,
      /ammi'Ra:/, /'fi'Ra:/, /pe'Ra:/, /reSO:'Ra:se/, /demmu'Ra:se/, /dy'Ra:/,
      /ze'Ra:/ e /zy'Ra:/ (e, piś anticamente ancora, /dze'Ra:/ e /dzy'Ra:/).

    Si ritiene doveroso fare presente che si tratta, per il secondo caso (verbi in /R/, l'antica erre velare simile a quella intervocalica degli Inglesi) di forme tuttora in uso in varietą arcaiche della Liguria , anche quelle con /dz/ in luogo del fonema urbano /z/, come nella parola "zazżn" /za'zyN/ = "digiuno - digiuni ".



    Gli studiosi: il Parodi e il Gazzo

    In relazione alle testimonianze riportate, risultano di conforto le indubitabili conferme, tra le altre, riferite da due dei piś validi ed acuti studiosi dell'idioma genovese, quali il Parodi e l'ecclesiastico Gazzo.

  • Il Parodi, nei suoi "Studj liguri", al § 75, pag. 133, riporta, per "gelare", /'zja:/ da /ze'Ra:/ (da un piś antico /dze'Ra:/ tuttora vivo in zone di pronuncia arcaica ).

    Sempre il Parodi ("Studj liguri") riporta, al § 89 c, pag. 141, /'pjņw/ = "pelato" (nel significato di calvo), /de'spjņw/ = "povero in canna" (da /despe'Rņw/) e /kan'tjņ:/ ( "o" aperta e, ovviamente, lunga) = "canterņ", riconfermando, cosķ, come dimostrato nel testo precedente, l'unitarietą del fenomeno evolutivo linguistico del genovese urbano.

    Ancora negli "Studj liguri" del Parodi, § 207, pag. 359, si trova riportato il verbo /'dZja:/ = "girare".

  • Il padre Angelico Federico Gazzo alla pag. XXXIII dell'Illustrazione della chiave ortografica premessa alla "Divina Commedia tradotta nella lingua genovese" osserva che:

    "[...] vi sarebbero alcune sfumature di pronunzia che sfuggono alle leggi ortografiche e queste si lasciano alla pratica. Solo accenneremo alcuni cambiamenti di lettere o contrazioni o dittongazioni del parlare corrente, di cui non sempre si cura l'ortografia quali sarebbero

    a) l'iotacismo [la pronuncia come /j/ semivocalico] dell' "e" davanti ad altra vocale:

    povio per poveo, i oeve per e oeve, piā per peā; nuvia e nuvea [la u va intesa quale /y/] biou per beato, battio per batteo (batterlo) et c... [...]".

  • A livello di opere a carattere linguistico piś recenti, si puņ menzionare il "Vocabolario delle parlate liguri" in cui viene riportata, ad esempio, la forma "'piā" = "pelare" per Arenzano, Camogli, Rapallo, Genova Centro e Levanto.


    Le infedeltį della grammatica del prof. Toso

    Occorre rimarcare, a questo punto della trattazione, le ennesime infedeltą rispetto alla descrizione dell'effettiva lingua genovese urbana, che si trovano contenute nella grammatica del prof. Toso al n.67, pag. 44.
    Fiorenzo Toso - Grammatica del genovese
    pag.44
    67. Posizione in iato della -i- nel futuro e in altri casi.
    In alcuni casi, e particolarmente in varie forme verbali, la [i] si trova in posizione di iato, ed č quindi vocalica, non consonantica, pur essendo a contatto con un'altra vocale: tiā [tiį] 'tirare', giā [ğiį] 'girare'. Ciņ si verifica in particolare nel caso del futuro indicativo, in cui la [i] che raccorda la radice alla desinenza č vocalica: mi portiņ [mi portiņ] 'io porterņ', mi sbraggiņ [mi zbrağiņ] 'io griderņ'.[...]

    Le due affermazioni sono manifestamente errate relativamente al genovese quale lingua della cittį di Genova, sia quella che indica per "tiā" /'tja:/ pronuncia bisillaba (ribadiamo che in cittą "tiā" č pronunciato mediante una sillaba sola), sia quella che concerne la pronuncia dei futuri, come si č gią potuto evincere con chiarezza da quanto precedentemente pubblicato in merito al tempo futuro nella lingua genovese. leggi l'articolo

    Le "i" dei futuri vengono sempre ed esclusivamente pronunciate quali semivocali e,
    in cittą, non esiste nessun'altra pronuncia alternativa.

    La pronuncia del verbo "tiā" quale bisillabo descritta dal Toso, č una pronuncia di tipologia sostanzialmente periferica che viene inclusa, da chi ancora parla correttamente la lingua urbana, nella categoria collettiva del

    "parlā da paizanetti".

    La definizione, sia pure espressa con un poco di colore, risulta sostanzialmente corretta e sottintende il fenomeno, originatosi in cittą e, successivamente, irradiatosi dal suo Centro, nella regione di caduta dell'erre intervocalica.

    Dall'antico /ti'Ra:/ si ebbe /ti'a:/. (Prima transizione)

    L'evoluzione linguistica si propagņ dal Centro cittadino e venne accolta dalle periferie (nel senso linguistico del termine) con un ritardo temporale, variabile da luogo a luogo (in alcune zone, non č stata ancora accolta ad oggi e vi si pronuncia tuttora /ti'Ra:/)

    In cittą, luogo d'origine del fenomeno linguistico evolutivo, da /ti'a:/ (con /i/ vocalica) si passņ a /'tja:/ (con /j/ semivocalica). (Seconda transizione)

    Molte periferie accolsero con ritardo l'innovazione
    rappresentata dall'eliminazione del fonema di erre intervocalica
    e non ebbero il tempo storico sufficiente
    a poter realizzare la seconda transizione da /ti'a:/ a /'tja:/.

    Tutto qui.

    Ma, allora, perché attribuire a /ti'a:/ il valore di koiné o definirlo, scorrettamente, "genovese", in contrasto con il significato di "lingua urbana" e in difformitą dall'accezione relativa alla lingua letteraria scritta?

    Non č genovese. Č, banalmente ed indiscutibilmente, una forma "periferica".

    Null'altro.

    Se questa fosse la pronuncia da prescriversi, nemmeno le opere poetiche scritte secondo la metrica tradizionale potrebbero piś essere apprezzate e lette correttamente.

    Perché non si puņ iniziare una buona volta a fare chiarezza sulla situazione della lingua, descrivendone in modo oggettivo i fenomeni ed attribuendoli correttamente? E soprattutto specificando quali forme sono in uso a Genova e quali altrove? (Non occorrerebbe, poi, molto sforzo...).


    Un gravissimo momento storico per la lingua genovese

    Merita, infine, di essere segnalato, quale indice del gravissimo momento storico che la lingua sta attraversando, l'utilizzo, che oserei definire "soggettivo" del termine "genovese", in quanto svincolato dall'aderenza all'identitą specifica della cittą di Genova e al patrimonio costituito dalla lingua letteraria scritta che si basa sulla lingua urbana e sulla sua pronuncia.

    Il discorso comporterebbe, quali conseguenze, l'esame di aspetti potenzialmente assai ampi, che tenderebbero a includere:

      ( Quale koiné? )

    1. il concetto di "koiné" e la difficoltą ad accettare che una singola opera possa effettivamente prescrivere in che cosa essa dovrebbe consistere, senza che ne venga illustrata la metodologia scientifica adottata, la base di dati su cui si fonda e le metriche linguistiche individuate a supporto dell'obiettivo.
      E poi, se proprio risulta irrinunciabile un obiettivo di koiné, perché proporre, a differenza di quanto avvenuto storicamente in quasi tutte le altre situazioni di questa tipologia, forme non centrali, relative a uno stadio di evoluzione della lingua gią superato.
      D'altronde, se anche in Liguria, si puņ notare una tendenza a una sorta di koiné, almeno nelle zone meno lontane dal Centro urbano, ciņ č sempre avvenuto con modalitą e direzioni opposte a quelle che paiono sottese alle indicazioni della grammatica citata.
      Sono sempre stati i periferici ad accogliere forme e pronunce della cittą e mai inversamente.
      Come č sempre avvenuto nei fenomeni di propagazione linguistica.
      Tra l'altro, se in zone periferiche esistono individui in grado di esprimersi, oltre che nella variante locale, anche in un registro linguistico il piś vicino possibile a quello urbano, č a questa seconda modalitą comunicativa che viene, eventualmente, riservata la definizione di "zeneize" e mai viceversa;
    2. ( Ma perché una koiné? )

    3. la domanda di fondo se, nel momento storico attuale, risulti piś funzionale alla sopravvivenza ed alla valorizzazione della lingua una ricerca mirata all'identificazione e ad una condivisione di un'ipotetica koiné difforme dalla lingua scritta letteraria o, piuttosto, una valorizzazione delle specificitą locali su cui attivare il senso di identitą e appartenenza delle comunitą e dei singoli parlanti, senza attribuire loro (scorrettamente) caratteristiche e peculiaritą che loro non appartengono.
      Occorre, infatti, osservare che (oltre al fatto che un'eventuale koinč basata sul "genovese" lascerebbe del tutto indifferenti, se non avverse, ampie zone della Liguria che adottano parlate e standard periferici) ormai, che piaccia o piaccia meno, una koiné che gią copre tutti i livelli di comunicazione linguistica, che va da Ventimiglia alla Spezia e ben oltre, gią esiste ed č l'italiano, piś o meno regionale, piś o meno standard.
      Forse non ci occorre un duplicato di koiné...
      Chi mai ha difficoltą a parlare con gli abitanti di Ventimiglia?
      Tanto, nonostante la loro lingua sia per noi abbondantemente comprensibile, come molte altre della Liguria, si parla, ormai, tutti quasi esclusivamente in italiano. Non ci serve una seconda koiné e nessuno, davvero, avverte codesta esigenza.
      Se, poi, le varietą linguistiche della Liguria tenderanno ad omogeneizzarsi, a divenire piś simili (ammesso che possano sopravvivere allo sfascio attuale) ciņ non dipenderą da una strategia prescritta, ma sarą l'esito storico delle maggiori facilitą di comunicazione e di interscambio.
      L'unica motivazione che effettivamente potrebbe evitare
      la conclusione dell'attuale fase di agonia della lingua genovese
      risiede nella corretta valutazione
      della continuitą con la lingua letteraria tradizionale che essa rappresenta
      e nella valorizzazione dello spirito identitario
      e, allora, occorre stare attenti a non calpestarlo, deluderlo, demotivarlo.
      Occorre essere scientificamente esatti ed attribuire correttamente i fenomeni linguistici alle comunitą che li hanno prodotti, inserendo le testimonianze in un contesto di validitą storica e geografica in cui le comunitą e gli individui si possano precisamente riconoscere e percepiscano potentemente valorizzata la propria individualitą.

      ( Il genovese indifeso )

    4. l'assoluta mancanza di tutela della lingua urbana e della comunitą che in essa si riconosce, sicché risulta possibile fornire, come si č scritto in precedenza, una descrizione soggettiva e svincolata dalla corretta conformitą allo specifico ambito cittadino e alla tradizione letteraria scritta.

      Molti si preoccupano di tutelare il basilico di Pra: chi difenderą la lingua di Genova?

      ( L'apparente revival )

    5. la soluzione di continuitą che, alla luce di quanto esposto, si č venuta a creare anche nei confronti della lingua scritta, di cui, paradossalmente, proprio negli ultimi tempi si assiste ad una significativa riedizione di opere letterarie.
      Lingua scritta che, anche storicamente, risulta fondata, in massima parte, sulla lingua urbana che, quindi, ne costituisce, indubitabilmente, il presupposto, soprattutto ai fini dell'apprendimento, della promozione e della diffusione di un livello di competenze linguistiche che possano risultare conformi alla vera lingua urbana ed alla tradizione letteraria del genovese.

      Il tutto, apparentemente, nella totale indifferenza di individui ed istituzioni!

      Il tutto nella fallace impressione di assistere ad un revival della lingua!

    Si ritiene, pertanto, fondamentale tramandare le testimonianze esposte, prima che un malinteso pudore delle specificitą della vera lingua urbana, l'attuale diffusa ignoranza della stessa o una sua conoscenza esclusivamente periferica, nonché il fatto, gią notato dal Gazzo, che le particolaritą fin qui illustrate non abbiano trovato specifica corrispondenza ed adeguato riscontro nelle grafie tradizionali della lingua, possano spingere a travisare l'effettiva essenza del fenomeno linguistico genovese, a non piś riuscire a comprendere ed interpretare il livello evolutivo da esso raggiunto e a spianare la strada ad una sorta di revisionismo o negazionismo linguistico.

    MAGISTER 17/04/2001

  • turna in ēimma