dei verbi in vocale / semivocale in effettiva aderenza alla pronuncia della lingua urbana della cittą di Genova.
Verbi in "i" Prendiamo subito in considerazione la coniugazione dei verbi in "i".
Come si puņ ben vedere, alla II e III persona plurale del presente e all'imperfetto, nonché all'infinito la vocale tematica del verbo si trasforma in semivocale (i ⇨ j), e si fonde in un'unica sillaba con la vocale successiva formando cosķ un dittongo ascendente (i:a ⇨ ja:) Per dittongo si intende una sillaba composta da una vocale e da una semivocale: un dittongo č detto ascendente se la semivocale precede la vocale mentre č detto discendente se la vocale č seguita dalla semivocale Nel genovese urbano la prima persona dell'indicativo presente si pronuncia dunque /'ti:u/, con /i/ vocalica, tonica e di quantitą, (cioč durata), lunga: essa risulta, quindi, forma verbale dotata di due sillabe; invece all'infinito, ad esempio, si pronuncia, /'tja:/, monosillabo, in cui l' "i" assume il valore della semivocale /j/, come nella parola "tiįn" /'tjan/ = teglia ( letteralmente, tegame). Questo fenomeno di formazione dei dittonghi ascendenti si manifesta con modalitą totalizzanti nel tempo imperfetto del modo indicativo, perché, in questo caso, l'accento cade sempre sulle desinenze delle forme verbali e, quindi, la vocale tematica del verbo viene sempre pronunciata quale semivocale. Lo stesso vale per le "i" dei futuri: esse vengono sempre ed esclusivamente pronunciate quali semivocali e, in cittą, non esiste nessun'altra pronuncia alternativa. Analogamente, si comportano tutti gli altri verbi in vocale "i", quali, ad esempio, Occorre notare che il dittongo ascendente che viene a formarsi alla I plurale dell'ind. presente, "tiźmu" /'tje:mu/ comporta l'allungamento della vocale /e/ della desinenza e la pronuncia scempia della consonante desinenziale seguente (in questo caso "m"). In questa tipologia di verbi, cioč, si hanno forme quali "tiźmu" /'tje:mu/ (con consonante "m" di intensitą semplice) a differenza di quanto avviene nel caso di verbi completamente regolari quali "lavā" /la'va:/ et c..., che alla prima persona plurale hanno la pronuncia della desinenza verbale regolarmente doppia: "lavemmu" /la'vemmu/ et c... Risulta, inoltre, degno di menzione il fatto che, a differenza dell'italiano standard, la pronuncia della prima persona plurale comporta la ritrazione dell'accento, "tiāvimu" /'tja:vimu/, rispetto all'italiano "tiravamo". La stessa ritrazione, ovviamente, avviene anche in verbi completamente regolari come "lavā" e si ha "lavāvimu" /la'va:vimu/ a differenza dell'italiano "lavavamo". Va, ancora, notato che le II persone (singolare e plurale) risultano identiche e sono distinguibili fra loro tramite l'uso obbligatorio del pronome "ti" alla seconda persona singolare. Č un tratto contrastivo del genovese rispetto all'italiano standard, che distingue "mangiavi" da "mangiavate", ma che si ritrova, ad esempio, a livello di fiorentino popolare. In realtą, anche al presente del condizionale le II persone (singolare e plurale) risultano identiche, ma ciņ verrą esaminato in una trattazione successiva.
Verbi in "e" Le stesse alternanze finora esaminate si verificano a proposito dei verbi in vocale "e", solo che la semivocale corrispondente alla vocale "e" č ancora la stessa "j". Si ha, cioč, relativamente al verbo "ziā" /'zja:/ (gelare):
e, ovviamente, all'infinito, "ziā" /'zja:/ = gelare. Anche in questo caso, ci si muove all'interno dell'ambito della totale e perfetta regolaritą dell'evoluzione della lingua genovese urbana. Infatti, /'zje:mu/, /'zjE:/ e /'zja:/ derivano, rispettivamente, da /ze'Remmu/, /ze'RE:/, /ze'Ra:/ (che, piś anticamente ancora, furono pronunciate /dze'Remmu/, /dze'RE:/, /dze'Ra:/, pronunce che in zone di lingua arcaica sono ancor oggi praticate). Verbo "piā" Esistono, altresķ, verbi quali "mi péju" /'mi 'pejju/ = io pelo, che condividono l'adozione del suono semivocalico di /j/ nelle forme della I e della II persona plurale e ovviamente, all'infinito "piā" /'pja:/ = pelare. Nelle altre persone, perņ, dal momento che il verbo deriva da un'antica "ĭ" (/i/ breve latina ) e non da /e/, si ha il dittongo (in questo caso, discendente) /ej/, come si ha nel sostantivo "pei" /'pej/, che, in genovese, significa "pelo", ma, anche, al singolare, "pera". La coniugazione del verbo "piā" /'pja:/ (pelare) risulta pertanto essere:
Normalmente, si preferisce usare "ti pei" /ti 'pej/ alla seconda persona singolare, perché si tende ad evitare il dittongo ascendente omofono (cioč, dotato di semivocale e vocale dello stesso suono) /ji/ nelle poche occorrenze in cui potrebbe ricorrere. Verbi in "o" ed "u" Analoghe considerazioni possono essere riferite in merito ai verbi in "o" ed "u". Si possono assumere quali esempi i verbi riflessivi "mi me resciōu" /'mi me re'SO:u/ = "prendo sollievo (morale), letteralmente, refrigerio, e "mi me demūu" /'mi me de'mu:u/ = "mi diverto". In questi due casi, sia /O/ sia /u/ forniscono, quale unica semivocale, /w/, Le rispettive coniugazioni risultano essere:
Verbi in "" ed "y" Esistono, inoltre, i verbi in "" e "y", quali "mi nu" /'n:u/ = io nuoto, "mi vu" /'v:u/ = io vuoto, "mi dŷu" /'dy:u/ = io duro, "mi zŷu" /'zy:u/ = io giuro, "mi spŷu" /'spy:u/ = io sputo, "mi sŷu" /'sy:u/ = io sudo, "mi stranŷu" /stra'ny:u/ = io starnuto, "mi refŷu" /re'fy:u/ (da cui l'aggettivo "refiūzu" /re'fju:zu/ = "scostante", che nessuno oserebbe pronunciare se non con la semivocale /j/) etc... // č la vocale della parola "nva" /'n:va/ = nuova ed /y/ č la vocale della parola "ryzze" /'ryzze/ = ruggine. la semivocale corrispondente tanto alla vocale // che alla /y/ č ancora una volta la /j/, certamente derivata dalla semivocale /H/
Molto presumibilmente, per altro, a causa del normale processo storico di ritardo nell'accettazione delle innovazioni linguistiche irradiantisi dal Centro urbano (Genova), non tutte le aree periferiche erano pervenute agli stessi esiti della pronuncia della lingua urbana della cittą di Genova né vi sono pervenute tuttora. Si identifica il verbo "mi vu" /'v:u/ = io vuoto relativamente alla vocale // e "mi sŷu" /'sy:u/ = io sudo relativamente alla vocale /y/.
e, all'infinito, rispettivamente, "viā" /'vja:/ ("vyā" /'vya:/) = "vuotare" e "siā" /'sja:/ ("syā" /'sHa:/) = "sudare". Si noti che, negli stili di pronuncia piś genuini e meno ricostruiti, l'infinito di "gelare" risulta omofono con l'infinito di "giurare", entrambi "ziā" /'zja:/ , ma ciņ č sempre stato tranquillamente accettato e il contesto non crea incomprensioni. Anziché preoccuparsi per la quantitą davvero esigua dei veri omofoni (= parole di diverso significato ed uguale pronuncia) della lingua genovese, occorrerebbe riflettere sulla grande quantitą di omofoni di lingue di cultura quale, ad esempio, la lingua francese. Eppure, i francesi hanno, da sempre, considerato la loro lingua come la lingua della chiarezza per eccellenza! Gli informatori Nel caso dei verbi presi in considerazione e, in particolare, relativamente a quelli in "" e in "y", si riferiscono e testimoniano le pronunce urbane ascoltate e verificate, mediante domande puntuali e specifiche richieste di poter riascoltare la pronuncia udita, nel Centro di Genova fino a tutti gli anni '70 del secolo ormai scorso (1970). Gli informatori interrogati appartenevano a classi sociali che possono, per esigenze di sintesi descrittiva, essere identificate mediante l'aggettivo borghesi, inteso in un'accezione relativamente ampia: si trattava infatti, di medici, avvocati, liberi professionisti, impiegati e negozianti, nati e residenti da sempre nel Centro della cittą. La pronuncia che si intende riportare prevedeva come semivocale, sia della vocale // sia della vocale /y/, la /j/ , che, in questo utilizzo specifico, sarą certamente derivata dalla /y/ semivocalica (la /H/ dell'alfabeto fonetico SAMPA, come nelle parole francesi "suite" /'sHit@/, "juin" /ZHe~/ etc...) che non veniva, perņ, adottata dai parlanti consultati. Anzi, si rende necessario testimoniare che la pronuncia di chi ripristinava la /y/ semivocalica in luogo della semivocale /j/ veniva avvertita come "ricostruita" ed "affettata". Si ribadisce ulteriormente che, come sopra riferito, l'ambito di pronuncia della /j/ come semivocale di // ed /y/ era di tipo borghese e che non risultņ, invece, possibile effettuare inchieste attendibili in ambito popolare, anche perché le vere varianti popolari urbane, (a causa di motivi storici ed ambientali che verranno affrontati in altra occasione), non erano riuscite a sopravvivere effettivamente alla seconda guerra mondiale. Si esagera se si considera che esistano ancora un paio di Genovesi in grado di rammentare alcune delle minute particolaritą linguistiche tipiche del "fuxan" /fu'ZaN/ o del "purtulian" /purtu'ljaN/. Il "fuxan" era parlato nell'antico sobborgo della Foce, distrutto completamente prima della seconda guerra mondiale per esigenze di edilizia innovativa, ed era relativamente noto, perché le "fuxann-e" /fu'ZaNe/, le donne dei pescatori del borgo, portavano a vendere, a piedi e, quindi, in un ambito comunque ristretto, il pescato. Il "purtulian" (sķ, sķ, si pronunciava con l'elle come nella parola "lann-a" /'laNa/ = lana) era, in senso stretto, la lingua parlata nel sestiere di Portoria, ma aveva anche assunto l'accezione un pochino piś ampia di "lingua popolare, plebea" in contrapposizione a registri linguistici piś "borghesi". Anche per Portoria, a causa della guerra, furono gravissime le devastazioni operate dai bombardamenti della Royal Air Force, ma la distruzione definitiva permane comunque opera dei Genovesi, che, forse, anche allora, privilegiavano altri obiettivi rispetto a quelli puramente identitari. (In Europa, chi ha girato anche poco sa bene che č stato ricostruito ben altro o, almeno, quanto era reputato piś significativo sotto l'aspetto dell'identitą cittadina).
Gli studiosi: il Parodi e il Gazzo In relazione alle testimonianze riportate, risultano di conforto le indubitabili conferme, tra le altre, riferite da due dei piś validi ed acuti studiosi dell'idioma genovese, quali il Parodi e l'ecclesiastico Gazzo.
Sempre il Parodi ("Studj liguri") riporta, al § 89 c, pag. 141, /'pjņw/ = "pelato" (nel significato di calvo), /de'spjņw/ = "povero in canna" (da /despe'Rņw/) e /kan'tjņ:/ ( "o" aperta e, ovviamente, lunga) = "canterņ", riconfermando, cosķ, come dimostrato nel testo precedente, l'unitarietą del fenomeno evolutivo linguistico del genovese urbano. Ancora negli "Studj liguri" del Parodi, § 207, pag. 359, si trova riportato il verbo /'dZja:/ = "girare".
"[...] vi sarebbero alcune sfumature di pronunzia che sfuggono alle leggi ortografiche e queste si lasciano alla pratica. Solo accenneremo alcuni cambiamenti di lettere o contrazioni o dittongazioni del parlare corrente, di cui non sempre si cura l'ortografia quali sarebbero a) l'iotacismo [la pronuncia come /j/ semivocalico] dell' "e" davanti ad altra vocale: povio per poveo, i oeve per e oeve, piā per peā; nuvia e nuvea [la u va intesa quale /y/] biou per beato, battio per batteo (batterlo) et c... [...]".
Le infedeltį della grammatica del prof. Toso Occorre rimarcare, a questo punto della trattazione, le ennesime infedeltą rispetto alla descrizione dell'effettiva lingua genovese urbana, che si trovano contenute nella grammatica del prof. Toso al n.67, pag. 44.
Le due affermazioni sono manifestamente errate relativamente al genovese quale lingua della cittį di Genova, sia quella che indica per "tiā" /'tja:/ pronuncia bisillaba (ribadiamo che in cittą "tiā" č pronunciato mediante una sillaba sola), sia quella che concerne la pronuncia dei futuri, come si č gią potuto evincere con chiarezza da quanto precedentemente pubblicato in merito al tempo futuro nella lingua genovese. leggi l'articolo Le "i" dei futuri vengono sempre ed esclusivamente pronunciate quali semivocali e,
La pronuncia del verbo "tiā" quale bisillabo descritta dal Toso, č una pronuncia di tipologia sostanzialmente periferica che viene inclusa, da chi ancora parla correttamente la lingua urbana, nella categoria collettiva del La definizione, sia pure espressa con un poco di colore, risulta sostanzialmente corretta e sottintende il fenomeno, originatosi in cittą e, successivamente, irradiatosi dal suo Centro, nella regione di caduta dell'erre intervocalica. Dall'antico /ti'Ra:/ si ebbe /ti'a:/. (Prima transizione) L'evoluzione linguistica si propagņ dal Centro cittadino e venne accolta dalle periferie (nel senso linguistico del termine) con un ritardo temporale, variabile da luogo a luogo (in alcune zone, non č stata ancora accolta ad oggi e vi si pronuncia tuttora /ti'Ra:/) In cittą, luogo d'origine del fenomeno linguistico evolutivo, da /ti'a:/ (con /i/ vocalica) si passņ a /'tja:/ (con /j/ semivocalica). (Seconda transizione) Molte periferie accolsero con ritardo l'innovazione Tutto qui. Ma, allora, perché attribuire a /ti'a:/ il valore di koiné o definirlo, scorrettamente, "genovese", in contrasto con il significato di "lingua urbana" e in difformitą dall'accezione relativa alla lingua letteraria scritta? Non č genovese. Č, banalmente ed indiscutibilmente, una forma "periferica". Null'altro. Se questa fosse la pronuncia da prescriversi, nemmeno le opere poetiche scritte secondo la metrica tradizionale potrebbero piś essere apprezzate e lette correttamente. Perché non si puņ iniziare una buona volta a fare chiarezza sulla situazione della lingua, descrivendone in modo oggettivo i fenomeni ed attribuendoli correttamente? E soprattutto specificando quali forme sono in uso a Genova e quali altrove? (Non occorrerebbe, poi, molto sforzo...). Un gravissimo momento storico per la lingua genovese Merita, infine, di essere segnalato, quale indice del gravissimo momento storico che la lingua sta attraversando, l'utilizzo, che oserei definire "soggettivo" del termine "genovese", in quanto svincolato dall'aderenza all'identitą specifica della cittą di Genova e al patrimonio costituito dalla lingua letteraria scritta che si basa sulla lingua urbana e sulla sua pronuncia. Il discorso comporterebbe, quali conseguenze, l'esame di aspetti potenzialmente assai ampi, che tenderebbero a includere:
( Quale koiné? ) ( Ma perché una koiné? ) Si ritiene, pertanto, fondamentale tramandare le testimonianze esposte, prima che un malinteso pudore delle specificitą della vera lingua urbana, l'attuale diffusa ignoranza della stessa o una sua conoscenza esclusivamente periferica, nonché il fatto, gią notato dal Gazzo, che le particolaritą fin qui illustrate non abbiano trovato specifica corrispondenza ed adeguato riscontro nelle grafie tradizionali della lingua, possano spingere a travisare l'effettiva essenza del fenomeno linguistico genovese, a non piś riuscire a comprendere ed interpretare il livello evolutivo da esso raggiunto e a spianare la strada ad una sorta di revisionismo o negazionismo linguistico. MAGISTER 17/04/2001 |