IL presente testo intende essere semplicemente una testimonianza, finché sarà possibile proporne, della lingua genovese urbana/letteraria. L'obiettivo consiste nel fornire una visione attendibile e relativamente completa di forme verbali in uso a Genova da piú di un secolo e mezzo, forme non riportate nella "Grammatica del genovese" del prof. Toso, nonostante il sottotitolo faccia menzione delle " varietà urbana e di koinè ". Anche lo spunto che ha generato le seguenti riflessioni è occasionale e lo scenario è molto semplice: Dalla breve analisi conseguente si deduce l'incompleta descrizione riservata alla lingua urbana/letteraria nell'opera sopra citata. Scambi di domande e risposte effettivamente avvenuti:
- "Nella grammatica è riportato (
- "Ho sempre detto e sentito dire, in citttà, ma anche fuori città, /ri'spuNde/, cioè con la pronuncia della vocale /i/."
Si chiede ai vecchi e si ottiene come risposta: "Rispunde!".
Si domanda anche ai molto vecchi e si riceve la conferma: "Rispunde!"
- "Ma, quando eravate giovani voi, che cosa ascoltavate dire da chi era vecchio, molto vecchio?"
- "Rispunde!".
Ometto, ormai, per sintesi, le altre serie di domande, che si sono susseguite, piú o meno, con le stesse modalità descritte, riguardanti altri verbi riportati nella grammatica citata, sempre a pag. 203, quali Che cosa riportano i vocabolari?
I vocabolari della lingua genovese non raggiungono certamente il livello della perfezione, né per quanto concerne la quantità delle parole accolte né, alcune volte, purtroppo, per l'attendibilità delle grafie adottate, ma, rimangono, pur sempre, un ineliminabile punto di partenza per una ricerca/verifica e uno dei modi piú validi per poter riscontrare la situazione linguistica all'epoca della loro edizione.
Quindi, già almeno piú di un secolo e mezzo fa, a Genova e nella lingua letteraria, questa era la pronuncia consolidata, ed il Casaccia non poteva riportarla altrimenti.
E identicamente si ritrova nell'edizione del Casaccia del 1876:
Ed il Frisoni, edito nel 1910, contiene, ancora e solo:
E si giunge, poi, al recente Gismondi (1955).
I vocabolari, quindi, confermano, per i verbi presi in esame, la conoscenza della lingua letteraria/urbana e garantiscono e convalidano le risposte ottenute dai parlanti.
Il Parodi, inoltre, con la sua acutezza di studioso, "Studj liguri", §88 pag.138, illustra quanto è avvenuto.
"[Si ha] di norma "e" nei prefissi [genovesi] "de-", "des-", "bes-", "re-", "pre-", [...] ; ma ora [si è all'inizio del Novecento] hanno preso "i" per influenza della lingua letteraria [italiano standard] "depenze, deventâ, defende, defferenza, reposâse, reparâ, responde, renegâ" [che erano pronunciati /de'peNze deveN'ta: de'feNde deffe'reNsa repO:'sa:se repa'ra: re'spuNde rene'ga:/] e molti altri, che erano in uso con "e" fino alla fine del secolo XVIII."
Cioè il Parodi afferma che, fin dalla fine del Settecento, a Genova si è avuta la pronuncia con la vocale /i/ in:
"dipinze" /di'piNze/, "diventâ" /diveN'ta:/, "difénde" /di'feNde/, "diferénsa" /diffe'reNsa/, "ripösâse" /ripO:'sa:se/, "riparâ" /ripa'ra:/, "rispunde" /ri'spunde/, "rinegâ" /rine'ga:/ ed in molte altre forme verbali.
Ecco spiegato perché anche i piú vecchi parlanti genovesi interpellati hanno sempre e solo pronunciato ed ascoltato pronunciare "rispunde" ed ecco perché cosí si trova riportato nei vocabolari della lingua.
La grammatica suddetta riporta, inoltre, pag.204 §109, un'altra categoria di verbi in due diverse "versioni" e precisamente:
"alleggeî", "digeî", "feî", "inseî", "offeî", "prefeî"" (si riporta la grafia adottata nella grammatica)
da pronunciarsi:
con i relativi participi passati:
"alleggei", "digei", "fei", ("insei" è, senza apparente motivo, omesso) "offei", "prefei"
da pronunciarsi mediante il dittongo /ej/:
con i relativi participi passati:
È quasi superfluo rilevare che, oltre al caso-limite di "offeio", le suddette forme verbali non risulterebbero nemmeno comprensibili ai parlanti urbani, indipendentemente dalla fascia d'età presa in considerazione.
Anche per questa categoria di forme verbali nessun tipo di conferma per quanto concerne la lingua urbana/letteraria, fino a raggiungere il livello di incomprensione citato (in ambito urbano ed anche all'esterno di esso) delle forme verbali prese in considerazione.
Anche nel caso di questo raggruppamento di forme verbali, il ricorso ai dizionari conferma in pieno l'attuale stadio evolutivo della lingua urbana e le risposte ottenute dagli informatori.
Dall'esame dei dizionari si riesce, anche in questo caso, a rimontare ad almeno un secolo e mezzo fa, dalla cui epoca a tutt'oggi, a Genova, e non solo , si è pronunciato esclusivamente:
L'evoluzione di questo verbo, come risulta confermata dai vocabolari e dagli informatori consultati, sembra aver dato luogo a due specializzazioni di significato:
Ciò spiega perché si tratta, essenzialmente, di un verbo ancora noto nell'ambito delle pratiche di giardinaggio o agricole, verbo in uso, secondo i termini tradizionali, da parte di "manénti" e contadini, ma assai meno noto in ambito urbano, dove i cittadini hanno sempre conosciuto relativamente poco e male le pratiche dell'agricoltura e le relative terminologie, non essendo mai stata Genova al centro di un importante comprensorio agrario.
Rimane, cosí, chiarito l'aspetto di dettaglio relativo al verbo "inserî" - "inseî" - "inséi" (del quale è rimasto in uso, in ambito prevalentemente rurale la variante "inséi" /iN'sej/, da pronunciarsi mediante il dittongo /ej/), corrispondente ad uno stadio piú antico della lingua e specializzata nel significato della pratica agricola, o di giardinaggio, dell'innesto.
Si cita ancora, a titolo esemplificativo (ci sarebbe ampia materia per poter proseguire, ma si conseguirebbe solo il risultato di appesantire oltre misura l'esposizione), un'altra forma verbale riportata dalla grammatica [op.cit.], sempre al §108 pag.203:
"deçidde" /de'sidde/.
A Genova non esiste proprio e si dice "decidde", cioè /de'tSidde/,
E solo "decidde" (da pronunciarsi /de'tSidde/) si ritrova nelle due edizioni del Casaccia, 1851 e 1876, nel vocabolario del Bacigalupo del 1873, nel Frisoni, 1910, e nel Gismondi, 1955.
Ritorniamo all'argomento principale.
É stato, in precedenza, a fronte dei dubbi ingenerati dalla grammatica [op.cit.] nei confronti di chi vorrebbe accingersi all'apprendimento della lingua letteraria/urbana, convocato a produrre testimonianza il Gotha dei vocabolari della lingua genovese.
Evidentemente, da quanto è dato di comprendere, le forme verbali riportate nella grammatica [op.cit] al §109 pag.204, non piú presenti in ambito urbano e difficilmente riscontrabili, oggigiorno, anche al di fuori di esso, erano, molto probabilmente, nei tempi antichi (almeno piú di un secolo e mezzo fa) presenti anche in città.
Lo stesso concetto di "antichità", nonché quello di "relitto linguistico non urbano", (per quelle forme verbali ancora riscontrabili fuori Genova) può essere applicato alle forme verbali dotate della vocale /e/ anziché l'attuale /i/ (riportate al §108 pag.203), anche se, in questo caso, il fenomeno linguistico è, ovviamente, diverso.
Il fatto è che la città e la lingua letteraria hanno, da almeno 150 anni, secondo l'evidenza fornita dai vocabolari e confermata dagli attuali parlanti e dai loro attendibili ricordi, per cosí dire, ripristinato il fonema di erre intervocalica per una categoria di verbi ed introdotto il fonema /i/ anziché /e/ per l'altra.
Probabilmente, per influsso della lingua italiana standard.
Quindi, in un certo senso, le forme verbali riportate nella grammatica citata, a differenza di quelle che compaiono nei vocabolari, sono piú "regolari", piú "pure" ?
In un certo senso, sí.
Però, le lingue vive, vere, a differenza delle creature linguistiche che possono essere elaborate a tavolino, non sono, quasi mai, completamente regolari, totalmente pure, perfette, se attribuiamo all'aggettivo "perfette" il significato di "totale ed assoluta regolarità".
Esse stesse ci raccontano la loro storia, i periodi di maggiore o minore splendore che hanno attraversato, gli ambienti nei quali si sono evolute.
A queste condizioni del tutto generali non può certamente essersi sottratto il genovese.
Rimane, poi, da decidere se si voglia proseguire lungo un panorama di continuità, aderente ad una concretezza storica ed ambientale o se vengano avvertite cosí forti le esigenze di totale regolarità, di purezza originaria.
Con la piena consapevolezza, per altro, che l'adesione ad un processo di tale natura reca in se stesso, nella sua filosofia intrinseca, il forte rischio di una destrutturazione e di un dissolvimento totale della lingua.
La storia ci pone dei limiti, ci vincola ad un ancoraggio e ad un'esperienza concreta della lingua e all'uso che ne realizzano i parlanti.
La tipologia di processo sopra illustrata, invece, rischia di poter proseguire senza limiti e puntare alla dissoluzione del linguaggio.
Risulta evidente che, ad ogni forma sostituita da una piú regolare, se ne può affiancare e sostituire, a sua volta, una piú regolare ancora... E per ogni forma sostituita da una ancora piú originaria o ancora piú pura o ancora piú antica si potrebbe ripetere il processo ed operare un'ulteriore sostituzione e ... poi ... un'altra ancora ... e cosí via ...
Chi assicura che il processo possa mai trovare una sua convergenza o, detto in altre parole, chi può dirci dove e quando fermarsi?
Si deve proseguire a ritroso lungo la direttrice di uno stadio della lingua probabilmente piú regolare e piú antico, ma le cui conoscenze linguistiche globali sono inferiori a quelle che si possiedono relativamente allo stadio di attuale evoluzione raggiunto?
Si effettuerebbe, in tal modo, un'opera da "archeologi" o da "antiquari", ma si perderebbe in certezza della conoscenza e riproducibilità dei fenomeni strutturali della lingua.
É questo l'obiettivo cui tendere ?
Quali vantaggi si conseguirebbero rispetto ad una gestione storicamente rispettosa della lingua stessa?
Possono, davvero, aver senso interventi di restaurazione (perché di questo si tratta) in un momento di cosí elevato livello di vulnerabilità della lingua ?
Deve poter avvenire un adeguato livello di riflessione e dibattito ed occorre, sperabilmente, conseguire un elevato livello di consapevolezza e di consenso, prima di poter approcciare direzioni cosí cariche di conseguenze.
MAGISTER 16/6/2001
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