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I plurali in -ai
azunta á l'artícculu d'u 5 marsu 2001
d'u Magister

Franco [Bampi] ha fatto un graditissimo regalo a me (e ritengo anche a quanti accedono al sito "Zeneize") fornendo i riferimenti [vedi lista di corrispondenza "zeneize", messaggio no.249] di quanto da lui in precedenza scritto [ûn vegio "-ao"...] in merito al dittongo /-Ou/ atono che, come bene scrive Franco, proviene da ciò che veniva, nell'antica grafia tradizionale, rappresentato come "-ao" nei participi passati (e pronunciato /-a:u/) e "-aro", "-ero" (pronunciati /-aRu/, /-eRu/) nelle finali atone di parola.
L'ha letto anche mio padre (gliel'ho stampato, lui non usa il P.C.) ed è stato molto contento di averlo letto.

Non ero a conoscenza dell'articolo di Franco. Molto probabilmente, se l'avessi conosciuto, non sarebbe stato necessario che io scrivessi il mio.
Il dato, comunque, confortante è che, in un momento in cui risulta oggettivamente tanto difficile diffondere certezze in merito alla nostra lingua, dai due contributi emerge evidente la concordanza relativamente ai corretti e tradizionali plurali in /-aj/.

Franco, che ha inteso bene la grafia tradizionale e ciò che essa, in realtà, intende rappresentare, propone correttamente i plurali "succai" /'sykkaj/, "çeixai" /'sejZaj/, "cheunai" /'kønnaj/, perché, in realtá, si pronuncia raddoppiando l'enne (ma questo è un aspetto talmente cruciale della lingua genovese che non può essere affrontato se non in una trattazione specifica), "singai" /'siNgaj/, "callai" /'kallaj/ e "gangai" /'gaNgaj/.
Sono tutte parole che possiedo anch'io e di cui ho potuto verificare il plurale con mio padre, che è nato prima della prima guerra mondiale.
Tranne i /'kallaj/, che conosco esclusivamente tramite i vocabolari e ai quali, ovviamente, non ho mai giocato e i /'gaNgaj/, che sarei tentato di reputare un italianismo, perché, per quanto attiene a porte e finestre, ho sempre sentito usare il genovesissimo "cancæti" /kan'kE:ti/.

Mi scuso per gli accenni personali.

Cerco, ora, di proseguire, a partire dagli spunti che la lettura del messaggio di Franco suggerisce (/'sykkej/, /'sejZej/ etc...) per tentare di elaborare un inquadramento e una prospettiva dell'argomento dotati di maggiore sistematicitá.
Ai fini di ribadire che la pronuncia corretta e conforme alla tradizione e all'uso urbani della lingua delle finali atone in "-ai" non può che essere quella esposta nell'articolo di Franco e da me menzionata, provo a descrivere l'ambiente globale nel quale essa si è prodotta.

Si tratta del momento storico che, evidentemente, non sará stato istantaneo (nulla si verifica istantaneamente nei fenomeni linguistici), in cui, in cittá, viene eliminata la cosiddetta erre intervocalica.
Si passò, cioè, da /ma'RiNna/ a /ma'iNna/ [la R indica la erre palatale intervocalica, simile alla erre inglese, scomparsa dal genovese odierno; la N indica la enne velare, tradizionalmente scritta "nn-"], da /maRi'na:/ a /mai'na:/, da /fa'RiNna/ a /fa'iNna/, da /faRi'na:/ a /fai'na:/, da /kaRi'tE:/ a /kait'E:/, da /'gaNbaRi/ a /'gaNbaj/, da /'aNdZeRi/ ad /'aNdZej/ e cosi' via...
Da /ma'iNna/ e /fa'iNna/ la lingua urbana, in sillabe colpite dall'accento principale della parola, si mosse fino agli attuali "mænn-a" /'mENa/ e "fænn-a" /'fENa/ (vocali APERTE e BREVI).

Ma la trasformazione riguardò esclusivamente le sillabe toniche, come s'è scritto sopra.

In questo processo linguistico, il genovese urbano (come quasi sempre) si è evoluto con una regolaritá che si potrebbe definire matematica.
Nelle sillabe atone, invece, caduta l'erre intervocalica, i timbri vocalici sono rimasti immutati.
Solo sono stati pronunciati come dittonghi.
Ecco perché, se si dice, come si dice tuttora, "mainâ" /maj'na:/, "fainaa" /faj'na:/, "caitæ" /kaj'tE:/ etc..., non si può che dire univocamente e secondo correttezza "gánbai" /'gaNbaj/, "pâgai" /'pa:gaj/, "ángei" /'aNdZej/ etc...

È la stessa, stessissima cosa!

Il fatto che gli ultimi dittonghi trascritti, a differenza dei primi menzionati, siano definiti posttonici anziché protonici dipende unicamente dalla loro posizione all'interno della parola e permane un puro aspetto di classificazione linguistica e non intacca la sostanza oggettiva del fenomeno che si è effettivamente verificato.

Veniamo a /'sykkej/ e /'sejZej/.

Il primo termine, visto l'ambito al quale viene riferito (referti dell'analisi del sangue), attiene, a mio avviso, piu' alla sociolinguistica che alla vera e propria tutela del patrimonio linguistico genovese.
La veritá, purtroppo, è che, oggigiorno, la situazione e la conoscenza linguistica dei nostri concittadini li predispone piuttosto a poter diventare degli allievi della lingua piuttosto che rappresentare degli attendibili informatori linguistici.
/'sykkej/ è, in buona sostanza, un'italianizzazione dovuta, a mia modestissima opinione, a due motivi fondamentali:

  • il fatto che la parola corretta, /'sykkOu/, ha sempre avuto un significato, diciamo cosí, collettivo e , tradizionalmente, il plurale, nella vita di tutti i giorni, era assai poco usato;

  • l'assenza totale e la totale mancanza di visibilitá del genovese scritto. In queste condizioni, anche il parlante legge esclusivamente l'italiano standard. Ho avuto modo di ascoltare anch'io ed altri. Il vecchietto che va alla "mutua" vede scritto sul referto "zuccheri" e legge "zûccheri" /'zykkeri/, e magari dice anche "giuvedí" /dZuve'di/, perché cosí è scritto sul fogliolino della prenotazione, anche se nel suo Data-Base interno è ancora presente la vera parola, "zœggia" /'zøddZa/.

Noi intendiamo perseguire la nostra missione con buona disponibilitá nei confronti di tutti e senza attitudini di tipo integralistico, ma è altrettanto chiaro che nelle nostre strategie e nel nostro comportamento, come in tutte le attivitá umane, non si possono oltrepassare certi limiti.

Bene.

"Giuvedí" e vocaboli simili ritengo che si trovino oltre la frontiera che definisce il patrimonio che si vuole tutelare e promuovere.


Ritorno, solo per un attimo, su un aspetto, a mio avviso fondamentale, costituito dall'assoluta invisibilitá del genovese scritto nell'ambito delle strade e delle piazze della cittá di Genova (ma scrivetelo come volete, almeno si comincierá!).
La cittá di Alassio, ad esempio, ha inaugurato da tempo una simpatica toponomastica bilingue "arascin" /aRa'SiN/ - italiano (ho posto in primo luogo l'arascin, perché ho seguito l'ordine alfabetico).
Non esiste quasi piú villaggio alpino che non possieda una toponomastica bilingue per la piú insignificante fontana o il piú minuscolo ponticello.
Non dovrebbe Genova, a beneficio degli autoctoni e per fornire ai turisti evidenza di una propria identitá linguistica, fare altrettanto e meglio?
Non si pretende che venga tradotta la targa di corso Gastaldi, ma un'indicazione per i luoghi storici sarebbe doverosa, specialmente dove si tratta di denominazioni originarie che non sono state recepite dalla toponomastica ufficiale e che sono soggette, se non si interviene (ma forse è giá tardi), a rifluire nell'oblio.


Non avevo inserito nel testo della mia precedente trattazione il sostantivo "sýccou" perché, sostanzialmente, il suo plurale non fa parte dell'uso tradizionale della lingua genovese, ma, se si dovesse usare, non v'é dubbio che dovrebbe pronunciarsi /'sykkaj/, come, esattamente, Franco propone nel suo articolo.

Risulta interessante notare che, in questo caso, il genovese risulta piú aderente dell'italiano standard all'etimo e all'origine della parola.
Non mi soffermo su questi aspetti, perché spettano agli studiosi e agli specialisti della materia. Fornisco solo un cenno.
Si può partire da una base latina quale "saccharu(m)", che risulta essere alla base di molte parole scientifiche quali "saccarosio" et c...
Si ebbe dissimilazione della prima /a/ in /u/. Questo tanto nel genovese quanto nel fiorentino. Anzi, nel genovese l'/u/ divenne /y/. Il genovese si fermò a /'sykkaRu/ - /'sykkaRi/, da cui "sýccou" /sykkou/ - "sýccai" /'sykkaj/. Il genovese ha, cioè, conservato il secondo timbro di /a/ e, su ciò, non possono sussistere dubbi. Il fiorentino tradizionale, invece, non tollera (tranne pochissimi casi) /-ar-/ atono e lo muta in /-er-/. Cosí si è avuto "zucchero" nell'italiano standard, ma, in senso stretto, si tratta di un fiorentinismo. È lo stesso fenomeno per cui, al futuro, da "lavare ho" si ebbe "laverò" anziché "lavarò" etc... Anche l'attuale futuro genovese "laviô" /la'vjO:/ (con vocale /O/ aperta e lunga) deriva, come si è dimostrato in un precedente articolo, da /lave'RO/ e ciò la dice lunga anche su alcune dipendenze strutturali della nostra lingua dal fiorentino.

Torniamo al punto.
Per /'gaNbaRu/ - /'gaNbaRi/, che deriva dal greco "kámmaros" si possono dimostrare e scrivere cose analoghe. Anche in questo caso il genovese conserva (attualmente solo al plurale) i due timbri vocalici di /a/, mentre l'italiano standard pronuncia "gamberi" per influsso della lingua fiorentina. Ma non posso, nello spazio che mi è concesso, proseguire la trattazione di un aspetto etimologico che ho solo sfiorato per aggiungere chiarezza e che spetta agli studiosi della materia. Ho però provveduto a riverificare con mio padre ed altri la pronuncia di tutti i plurali inseriti nel testo dell'articolo precedente e mi è stata fornita come corretta e conforme all'uso ed alla tradizione urbana la sola pronuncia in /-aj/.

D'altronde,

  • il Casaccia, nelle edizioni del 1851 e del 1876 del suo vocabolario, alla voce "gambao" riporta la frase "fâ comme i gambai" e ciò concorre ad eliminare qualsiasi dubbio.
  • Il Frisoni, nel suo vocabolario del 1910, alla voce "gambao", riporta la sciagurata frase "andâ indietro comme i gambai".
    Anch'egli dimostra la tesi, ma non si può sottacere il biasimo per l'adozione della parola "indietro" che poi, giustamente, nella sezione "genovese-italiano" del suo vocabolario non è neanche riportata: riporta solo il corretto "inderrê". (Eventualmente, si dovrebbe contestare la grafia: l'erre non è doppia, né secondo l'etimo né secondo la pronuncia).
  • Pure il Gismondi, nella sua opera edita nel 1955, sempre alla voce "gambao", cita la frase ironica "andâ avanti comme i gambai".

In definitiva, i vocabolari della lingua genovese riportano solamente "-ai" come plurale.

E i /'sejZej/?

  • L'Ageno, alla pag.83 dei suoi "Studi genuensi", riporta "seixau"
  • Il Parodi nei suoi "Studi liguri", al par.92 pag.144, fornisce esclusivamente 'sejzhaRu - 'sejzhaRi quali forme antiche, e, come forme moderne solo sejzhou - 'sejzhaj
Poi i vocabolari:
  • L'Olivieri, nel suo vocabolario del 1851, riporta "seixau",
  • il Bacigalupo, nel suo del 1873, "seixao",
  • il Casaccia, nella sua edizione del 1876, "çeixao" e la frase "boggî i çeixai" (plurale solamente in "-ai"),
  • il Frisoni, nel suo dizionario del 1910, "çeixao"
  • il Gismondi, nel suo del 1955, "çeixao".

È vero che solo il Casaccia ci mostra esplicitamente il plurale della parola "cece", ma il fatto è che, in conformitá alle diverse grafie adottate dai diversi autori, ma, pur sempre, di tipologia tradizionale, il singolare in "-ao" o "-au", come scrive il solo Olivieri, implica un plurale in "-ai", cioé /-aj/.
Altrimenti, gli autori menzionati avrebbero grafato "-eo", come infatti fa il Casaccia, nella sua edizione del 1876, nella quale scrive come "angeo", "poveo", "zeneo" (che possiede anche il semplice singolare "zenne") le parole che hanno come plurali, rispettivamente, "ángei" /'aNdZej/, "pòvei" /'pO:vej/ e "zénnei" /'zennej/.
Proprio sul sito "Zeneize", nel "Cantu d'a rymenta" ("e streita, figiœ, nu femmuse rîe á prœvu!") si può verificare il plurale /ki'gømmaj/ scritto dal poeta Bacigalupo.
Il Bacigalupo, in effetti, risentiva della congiuntura storica della sua epoca e non sempre, onestamente, sapeva ritrarsi di fronte a un italianismo, ma vorremmo, oggi, avere persone dotate della sua conoscenza della lingua!

In definitiva, si è liberi di pronunciare /'gaNbej/ ed altro, e si può, volendo, trovare anche sostegno nell'italiano "gamberi"; ciò non toglie che in genovese questo sarebbe lo stesso, stessissimo errore che si commetterebbe se si pronunciasse "meinâ" /mej'na:/ invece di "mainâ" (it. marinaio), "feinaa" /fej'na:/ invece di "fainaa" (it. farinata), "cheitæ" /kej'tE:/ invece di "caitæ" (it. caritá) e "ángiai" /'aNdZaj/ invece di "ángei" (it. angeli), tutte pronunce che magari possono anche esistere tra le varie parlate della pur non vasta Liguria.

Ma non è genovese!

Grammatica del genovese
Fiorenzo Toso
pag.53 n.23:
[...]
Un caso particolare è offerto dalle parole in -ao come sùccao 'zucchero', çeixao 'cece'; la desinenza del plurale è regolare ( sùccai 'zuccheri',çeixai 'ceci'), ma alla pronuncia del singolare come [sükow], [séyžow] corrisponde il plurale [sükey, séyžey], e cosí via.[...]
Dunque, l'inconsistenza e la contraddizione in cui incorre la "Grammatica" del prof. Toso risulta duplice.
Se ci si rifá all'intento dichiarato di normalizzazione, risulta evidente che non ha senso distinguere tra la grafia "-ou" del dittongo tonico (ad es. nei participi passati) e quella in "-ao" delle occorrenze del dittongo atono.
Se, invece, si intende conservare la grafia "-ao" al dittongo atono per conformitá con la grafia e la lingua tradizionale, codesto intento viene vanificato dall'erronea indicazione della pronuncia.

15/03/01

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