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Chéitu, réixe, méistru:
a mæxima grafîa e a mæxima prunúnsia pou mæximu ditungu.

"La progressiva incertezza nell'impiego delle regole su cui si fonda
è l'elemento rivelatore della disgregazione di una lingua"
.

Prof. Stefano Mazzaro, "Sito Veneto"

Fiorenzo Toso
Grammatica del genovese
Le Mani, Recco 1997
pag.203
Hanno forme irregolari del participio passato i seguenti verbi [...]
cazze [...] : cæito [kèytu] 'caduto'

La scrittura "cæito" come participio passato del verbo "cazze" (it. cadere) è una rappresentazione grafica scorretta e inconsistente per piú di un motivo.
Se vale la derivazione, come affermano gli studiosi (vedi riquadro) da una forma verbale (non certamente dal latino classico) "caditu[m]" come "réixe" deriva da "radice[m]" e "méistru" da "magistru[m]", cioè per eliminazione della consonante intervocalica, ciò indica chiaramente che la "a" e la "i" non si sono fuse in un solo suono vocalico, ma si è avuto il dittongo /ej/ pronunciato nel genovese letterario/urbano esclusivamente con il timbro di /e/ chiusa.
E.G. Parodi, Studj liguri,
Archivio glottologico italiano,
  • vol.XV, pag. 30, § 17
    " il participio da "kaditu" venne a "'kejtu"
  • vol.XVI, pag. 122, § 45
    " caduto "'kejtu"
    Gian Carlo Ageno, Studi genuensi, I, 1957, "Studi sul dialetto genovese",
  • pag. 75, § 5
    " il participio passato del verbo cazze "cadere" è chéitu [ 'kejtu ] dal latino volgare "cadito" ..."
  • La grafia "cæito", rivela, quindi, tutta la propria intrinseca inconsistenza e, inoltre, a fronte di quanto sopra esposto, non si capisce proprio perché "cæito" dovrebbe essere grafato diversamente da "réixe" o da "méistru".
    Se si adotta l'utilizzo del digramma "æ" nell'ottica di indicare che due timbri vocalici originariamente distinti si sono fusi in un unico suono vocalico, come di norma avviene nell'ambito delle grafie tradizionali, si ignora la specifica realtá del fenomeno linguistico che si è prodotto. In questo senso, infatti, si adottò la grafia "lavæ" quando dall'originaria pronuncia di /la'va:i/, passando per /la'vaj/ ( con il dittongo /aj/) si pervenne a /la'vE:/.

    Insomma, o si è avuta una fusione della vocale "i" con la vocale precedente, e allora la soluzione tradizionale é "æ" (anche perché in questo caso la pronuncia della vocale "i" non risulterebbe piú avvertibile), oppure si è avuto il dittongo /ej/, correttamente grafato come tale, anche tradizionalmente, esattamente come si pronuncia.
    Di fatto, nei casi di "chéitu", "réixe" e "méistru", le due vocali non si sono fuse e si è avuto il dittongo /ej/.

    Altre incongruenze.
    Il dittongo /ej/ nel genovese letterario/urbano è sempre pronunciato mediante il timbro chiuso della vocale "e". A Genova "cheitu" /'kejtu/ non presenta alcuna "e" aperta né, tanto meno, lunga, che sono, invece, le caratteristiche della pronuncia segnalate dall'adozione grafica del tradizionale digramma "æ". E nessuna delle due caratteristiche di pronuncia del digramma "æ" appartiene alla pronuncia di "chéitu".
    Comunque a Genova si dice /'kejtu/ e non /'kE:itu/, con la "e" aperta (?!) e lunga (?!?!), proposta impronunciabile per qualsiasi genovese, e che pure la grafia "cæito" starebbe ad indicare.
    Dovremmo allora grafare anche "ræixe", "mæistru", "læituga", "læitæa", e pretendere che qualcuno apprenda la lingua mediante "grafie di fiction" dove, dall'incontro di due vocali (e non di piú), se ne genera (forse per procedimento alchemico ?) anche una terza per pervenire alla grafia "cæito" ?!

    MAGISTER 7/12/01

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